martedì 16 aprile 2019

Giustizia (Parte 1)

La mia idea, la mia formula è la seguente: esiste una mole schiacciante di circostanze a carico dell’imputato, eppure nemmeno una di queste regge alla critica, se le si esamina singolarmente, presa a sé stante! Questo passo tratto dal romanzo “I fratelli Karamazov” del celebre Dostoevskj è stato illuminante per me, e spero che faccia riflettere anche solo per un attimo voi che vi state accingendo a leggere questo scritto. Quante volte di fronte ad un delitto vi siete immediatamente indignati? Quante volte il sangue ribollendo nelle vostre pulsanti arterie ha scaldato desideri di vendetta? Quante volte questa stessa sete ha superato di gran lunga il desiderio di giustizia? Se questo è accaduto anche una singola volta non dovete preoccuparvi, è normale. E’ cosi naturale come reazione che gli ideatori dello stato di diritto provvidero ad incaricare persone terze nel giudizio degli imputati, prevedendo il rischio di una pena non commisurata al delitto, frutto di una sentenza decretata sulla scia delle emozioni e poco ragionata, ragionevole ed adeguata. Questo perché l’istinto rende l’uomo irruento, aggressivo e veemente mettendo a repentaglio, innanzitutto, la fase istruttoria del processo, che rischierebbe di essere superficiale per garantire un immediato ristoro del danno subito dalla vittima senza aver accertato, fuori di ogni dubbio, che l’imputato sia realmente colpevole. Infine, qualora l’imputato dovesse essere condannato come colpevole, la caratteristica della pena è quella di avere sia una funzione punitiva che un’altra rieducativa presupponendo che il potenziale reo, impossibilitato a condurre un'esistenza serena e paritaria con gli altri membri della società una volta scontata la pena, possa incorrere in uno stato di emarginazione e ghettizzazione sociale, propedeutico alla commissione di ulteriori reati recidivando una condotta che danneggia la società tutta. Date queste premesse è abbastanza semplice capire che risulti impossibile saziare il furore del popolo in presenza di reati che smuovono la coscienza dell’individuo, perché caratterizzati da efferatezza, futilità, crudeltà, ferocia e disumanità. Questi crimini succitati necessitano, per il senso comune, di un esecuzione in piazza per soddisfare il desiderio di vendetta che travolge il nostro raziocino riducendoci a fiere predatorie in cerca di sangue, incuranti se il sangue versato possa essere irrimediabilmente innocente. Questo perpetuo discostamento tra la punizione attesa e l’effettiva pena crea rancore nella popolazione, mai appagata pienamente dal superamento delle sanzioni corporali e della pena capitale, propensa ad una giustizia sommaria, purché i bollenti spiriti siano acquietati. La volontà Inquisitoria pervade le membra del popolo che vive come un insulto le garanzie processuali e detentive dell’imputato, che aggiungono un sentimento di frustrazione per i patiti della vendetta, impazienti di sentire festanti le grida strazianti di dolore, per l’abominevole tortura, imposta dal boia al probabile aguzzino.

mercoledì 3 aprile 2019

Tradizione e diritti

Barbaro è l'etichetta che nell'età Antica affibbiavano i greci a tutti quelli che non parlavano la loro lingua (il greco), quindi anche i Romani venivano classificati nei popoli barbari.

Successivamente i romani utilizzarono la stessa parola per identificare quei popoli che ancora dovevano essere plasmati dalla forza civilizzatrice della cultura greco-romana, dunque l'espressione assunse una connotazione etnica.
Nell'età contemporanea la parola barbaro è un semplice aggettivo sinonimo di rozzo, crudele, incivile e selvaggio; sicché con il passare del tempo il vocabolo ha assunto un significato completamente nuovo rispetto alle accezzioni passate.
Questo preambolo è utile per capire i profondi mutamenti che sono avvenuti nel tempo e che hanno prodotto innumerevoli cambiamenti non solo nei modi di vivere, ma anche nel significato del linguaggio e dei modi di interpretare la realtà.
Nel corso dei secoli, in ordine sparso, si sono succeduti, o sono coesistiti, l'Impero Sumero, Egizio, Assiro, Babilonese, Greco, Macedone, Romano, Bizantino, Arabo, Ottomano, Spagnolo, Francese, Britannico, Sovietico, Americano e Cinese (perdonatemi qualche dimenticanza), ed ognuno di essi è stato caratterizzato da una peculiare religione, modello economico e culturale, fino ad arrivare alla nostra realtà.
La storia ci ha insegnato che nessun dogmatismo ha resistito per sempre: la politica, la religione, le ideologie, gli imperi sono risultati soggetti a cambiamenti fino a completa dissoluzione.
In questo contesto gli uomini che sono risultati vincenti sono quelli che hanno guidato il rinnovamento ed hanno convogliato le forze della maggioranza nella direzione dell'apertura al nuovo senza rinchiudersi ed isolarsi in posizioni ormai superate, obsolete ed anacronistiche, che sarebbero state poi travolte e spazzate via dagli eventi successivi.
A tal proposito è fulgido esempio di apertura al nuovo e riposizionamento logistico la figura di Tancredi Falconeri, nipote del Principe Fabrizio, che nel libro "Il Gattopardo" cosciente della potenziale trasformazione che sta per avvenire, si schiera nelle file dei garibaldini, con l'intima speranza poi rivelatasi vincente che "tutto deve cambiare affinché nulla cambi".
Quest'ultimo episodio non si presenta in contraddizione con il ragionamento precedente perché nel romanzo succitato è evidente l'evoluzione che avviene nella società post-risorgimentale rispetto al sistema feudale Borbonico; altresì mette in evidenza la capacità di adattamento dell'astuto nipote, che anticipa gli eventi per guadagnarsi un ruolo dominante nella nuova struttura sociale, simile alla posizione dello zio durante nel Regno delle due Sicilie.
Pertanto, in conclusione, diventa dirimente saper distinguere tra memoria, che può essere rappresentata come un faro che ci guida nel porto sicuro illuminando la via maestra e spingendoci lontano dagli scogli del passato, salvadoci dal naufragio, e dogma, che viceversa rischia di portare la società al lento decadimento, dividendo la popolazione in nome di valori ormai superati e non corrispondenti al sentire comune e rallentando il percorso lungo la strada del riconoscimento dei diritti, proponendo una inammissibile restaurazione.
Una volta avvenuta la Rivoluzione Francese non è più possibile imporre la servitù della gleba.
G.C.