In attesa di quella funesta azione, le grida, gli spintoni e le liti per accaparrarsi il posto migliore si replicavano in ogni angolo tra la folla. Gustavo, scalzo e insudiciato, con un vestito cencioso lottava con i suoi consimili del popolo, a dispetto del suo nobile nome, per assistere alla prima esecuzione dell'anno. Piccolo, minuto, agile, scaltro, bramoso e impaurito, partendo dal vertice basso della piazza riuscì a sgattaiolare nel punto più prossimo al palco.
"Che ci fai qui?" intimo un baciapile di nero vestito.
"È qui lo spettacolo" intimorito rispose il fanciullo.
L'uomo scuotendo la testa spinse indietro Gustavo, che come una molla tornò al suo posto, provocando un irritato borbottio nell'uomo.
D'un tratto il silenzio pervase l'intera folla. Il condannato era giunto sul patibolo. La massa assetata di sangue era pronta ad esplodere alla vista della testa rotolante del condannato, che come una palla da biliardo si imbucava nella cesta di vimini, immortalata ad imperitura memoria con l'ultima smorfia di consapevole morte. La ghigliottina lucente non attendeva che l'istantanea caduta per insozzarsi di sangue caldo, e stopparsi violentemente nel fine corsa, impietosa davanti al gracile collo dell'impotente giustiziato.
Tutto era già scritto. Il fatto stava per compiersi. Il rito, immutato, desiderato, si ripeteva nei suoi consuetudinari passaggi. Il boia alzò violentemente la testa tumefatta del condannato convinto di leggere la paura nei suoi occhi. Scioccato trovò un ghigno che lo paralizzò e che gli impedì per un attimo di mettere il cappuccio al condannato. Ecco l'attimo. Il condannato sgusciante come un anguilla tolse le manette, mal posizionate da una vecchia guardia, e si lanciò contro il boia disarmato. Scontro feroce, ma pur preso di soprassalto l'energumeno ebbe facilmente la meglio del malconcio condannato, ed in un eccesso d'ira mista a paura trafisse con una lancia, scippata ad una guardia presente sul palco, il petto fiero dell'aggressore. La splendente lama della ghigliottina rifletteva i raggi solari, che di rimbalzo si proiettavano sulla punta grondante sangue della lancia, che rimase conficcata nel corpo inginocchiato del condannato, spirato esanime con le gambe piegate e la schiena distesa in terra.
La massa visse il drammatico evento con l'aria intrappolata nei polmoni, non un fiato, non una parola, non un pianto, solo crescente tensione.
"Che coraggio“ esclamò Gustavo, rompendo l'immobile silenzio.
Coraggio, audacia, sfrontatezza, temerarietà, valore, erano le parole che correvano senza sosta sulle bocche dei popolani.
“Signore, che uomo coraggioso si è dimostrato il condannato." disse il fanciullo importunando il bigotto.
"Non serve coraggio per fare qualcosa quando non puoi fare nient'altro." sentenziò l'uomo allontanandosi contrariato.