La ricostruzione narrativa che individua nel calcio la possibilità di riscatto sociale; il principio di solidarietà; il romanticismo della lotta tra Davide e Golia; il fango dei campetti provinciali; la trafila dalle giovanili alla prima squadra; mal si concilia con il modello di sport che viene quotidianamente offerto. Già oggi sono evidenti le profonde storture di un industria che, giustamente, ha nel profitto il suo unico e solo fine; talvolta anche il principio. Il distacco tra i club ricchi ed i poveri è diventato col tempo incolmabile, causando nel pubblico una perdita d'interesse riguardo i vari campionati, dove le prime della classe (talvolta esclusivamente la prima) hanno monopolizzato l'albo d'oro delle competizione nazionali negli ultimi anni. Inoltre la capacità di attrarre i campioni è diventata sempre più una caratteristica di pochi campionati e pochissimi club, producendo come risultato squadre piene zeppe di fenomeni contrapposte a squadrette provinciali povere di talento, e qualche volta persino di orgoglio ed attaccamento ai colori della propria squadra.
Questo modello completamente sbilanciato, in cui i campionati nazionali paiono già decisi prima ancora di mettere la palla al centro del campo, si è palesato anche nelle competizioni internazionali per club, dove le sfide veramente avvincenti sono ridotte a tre/quattro match per anno a fronte di un percorso iniziale lungo e noioso, fatto di lontane trasferte contro squadre improponibili. Ciò premesso è naturale che ad un calo d'interesse del pubblico pagante si accompagnino minori entrate finanziarie, oppure entrate finanziarie più basse del previsto, che sommate alle conseguenze della pandemia, hanno inferto un colpo quasi mortale ad un sistema già "ricco" di debiti.
La nascita della superlega va inquadrata in questo senso: alcuni club più ricchi, per istinto di autoconservazione, propongono un nuovo modello capace di attrarre più risorse, imputando all'attuale gestione la colpa degli scarsi introiti reclutati negli ultimi anni. La superlega, inoltre, dato il suo presunto appeal, oltre a monopolizzare le entrate del calcio, probabilmente, sarà anche in grado di fagocitare tutti i campioni sulla piazza, che saranno interessati ad esibirsi in una vetrina più vantaggiosa economicamente. Questo modello porrà in una posizione di rendita tutti i club che riusciranno ad entrare come membri permanenti, scavando un solco incolmabile con tutti quegli altri che resteranno tagliati fuori, costretti a partecipare a tornei più scadenti e con, ancora, meno proventi. Ciò premesso non è accettabile imputare la responsabilità di questa scelta e le sue conseguenze -potenzialmente nefaste per i campionati nazionali e per i club esclusi dalla superlega- unicamente alla voracità dei proprietari delle squadre, ma vanno anche ricercate nei vertici delle organizzazioni sportive internazionali per club, che attraverso una programmazione inadeguata hanno reso fertile il terreno per la crescita di questo progetto alternativo.
In ultimo, è veramente inaccettabile la strumentale e demagogica ingerenza politica - è così fastidiosa la libertà d'impresa? Il cambiamento dell'offerta del calcio professionistico non aggiungerà e/o toglierà nulla allo sport in generale. Tutti potranno continuare a cimentarsi negli sport dilettantistici nei campi di periferia, ma la bussola del calcio globale sarà necessariamente orientate alla ricerca del profitto; dopotutto non tutti hanno il privilegio di vivere con i sussidi di Stato.
Giuseppe Cerullo