martedì 17 agosto 2021

Saviano, Murgia e l'attacco alla famiglia

«Quando mi chiedono quando finiranno le mafie rispondo quando finiranno le famiglie. Quando l’umanità troverà nuove forme di organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite» (Saviano) 
La debolezza della teoria proposta da Saviano, che le mafie finiranno quando finiranno le famiglie, è che non si presta all'esame oggettivo, ma si ricava e si adatta, eventualmente, ad ogni esigenza. Il fatto che detta supposizione non possa essere controllabile comparandola con un altro sistema esistente, o che non possa essere confutata da un evento concepibile, è la dimostrazione pratica che è facile ottenere conferme se quel cerchiamo sono solo conferme. Nulla può smentire un postulato che non presenta la caratteristica della falsificazione, ma che in maniera liquida si adegua ad ogni contenitore. Peraltro, la decisione di porre la famiglia come causazione dell'origine delle mafie, è puramente arbitrario, non corroborato da fatti: la famiglia è il nucleo basilare di quasi tutte le società del mondo; viceversa le mafie non sono allo stesso modo equamente distribuite sull'intero pianeta (spesso nella stessa nazione, regione, città, quartiere e appartamento ci sono evidenti differenze). Inoltre questa teoria postula che la degenerazione del concetto di famiglia sia la regola generale, dando per assodato che eventuali "nuovi patti d'affetto" non possano degenerare alla stessa maniera, ad esempio: nello sviluppo del concetto di intraneo ed estraneo. In ultimo, il richiamo al patriarcato, da parte della Murgia, è l'ennesima dimostrazione che se una soluzione è adeguata a spiegare tutti i problemi del mondo, probabilmente la soluzione non è giusta per spiegarne alcuno adeguatamente.
Giuseppe Cerullo 

domenica 15 agosto 2021

Afghanistan, libertà, diritti e prestigio

"A che serve che un popolo sia l'immagine stessa dell'agiatezza e della libertà, se è continuamente esposto ad essere devastato e conquistato? Che importa che esso sia manufatturiero e commerciante, se altri dominano i mari e dettano legge sui mercati? La forza è quindi spesso la prima condizione della felicità dei popoli e perfino della loro esistenza. Donde viene che i piccoli popoli finiscono sempre coll'essere violentemente uniti ai grandi, oppure che vi si uniscono spontaneamente". (Tocqueville)
Questo passo è noto nel mondo occidentale sin dal 1835, data della prima pubblicazione del  testo "La democrazia in America".
Eppure oggi, nel 2021, alla fine dell'Operazione Libertà Duratura (così denominata la guerra in Afghanistan) ci chiediamo che senso ha avuto liberare l'Afghanistan dai talebani se poi non si è dotato il Paese dei mezzi adeguati per poter resistere autonomamente al ritorno degli stessi. Che senso ha avuto creare una democrazia senza che fosse dotata dei necessari anticorpi per poter sopravvivere? Alcuni congetturano che gli USA, volutamente, hanno lasciato il territorio che avevano occupato, dove avevano posizionato basi militari, uomini e mezzi; un territorio a ridosso di una potenza rivale (Cina), di una potenza in nuce (India), di una potenza decaduta (Russia) e di uno Stato considerato canaglia (Iran), per rendere instabile la zona. Probabilmente gli stessi non considerano i due seguenti aspetti (uno di ordine pratico e l'altro un precedente storico): meglio essere vicino al potenziale nemico; l'episodio della crisi missilistica di Cuba tra USA e URSS. Quest'ultima vicenda, unita al sostegno che l'URSS ha assicurato a Cuba durante la guerra fredda, come d'altronde hanno fatto gli USA con altri Stati ritenuti utili, dimostra che le potenze preferiscono un governo amico a condizioni di instabilità. Eppure questa ritirata frettolosa, scomposta ed aspramente criticata, per diverse ragioni, dai più disparati commentatori, insegna una cosa: non si può fare una politica estera forte e decisa senza il sostegno della base elettorale. La retorica dell'America First, dell'isolazionismo, del sovranismo, ha illuso che si potesse essere grandi facendo a meno del mondo, ma non è cosi. Il corpo elettorale americano, in maniera trasversale, si aspettava la fine delle operazioni militari, e così è stato, salvo non voler accettare psicologicamente le conseguenze ad esso correlate: il ritorno al potere dei talebani; le immagini della rovinosa ritirata; lo smacco internazionale. Sì, perché diciamocelo chiaramente: ai più non interessano le pessime condizioni in cui verserà la popolazione afgana, ma il prestigio internazionale intaccato.

Giuseppe Cerullo 

venerdì 13 agosto 2021

Green pass, libertà e comunità

Diciamolo senza infingimenti: il green pass, con tutte le sue pecche, è l'unico modo che abbiamo per scongiurare future chiusure totali. Pur non avendo certezza di nulla (date le innumerevoli e impronosticabili variabili in campo), sono altissime le probabilità, visti i dati sulle attuali ospedalizzazioni, che rilevano una percentuale minima di accessi tra i vaccinati a differenza dei non vaccinati, che attraverso la moral suasion del green pass non dovremmo più applicare misure eccessivamente restrittive all'intera popolazione.
Quindi la logica delle attuali limitazioni è frutto della scelta da prendere al seguente quesito: o circoscrivere la libertà individuale di una sparuta componente di cittadini recalcitranti a sottoporsi alla vaccinazione o prendere in considerazione una potenziale restrizione della libertà globale per il rischio di recrudescenza della pandemia da covid, che ricadrebbe su tutti, indifferentemente dalla vaccinazione praticata.
Ciò premesso, è indubbio che la norma che introduce il green pass ponga dei severi limiti a chi, in nome di qualsivoglia pensiero, si presenta indisponibile a far fronte unico con l'intera comunità per affrontare la pandemia. In una condizione così eccezionale è naturale prendere misure straordinarie al fine di tutelare l'interesse collettivo, piuttosto che il capriccio del singolo.
Di fatti, l'indisponibilità a vaccinarsi, si squalifica a insulso capriccio, dato che nella maggior parte dei casi non si vede altro che persone arroccate dietro il loro steccato ideologico, prevenute rispetto a tutte le evidenze che si sono imposte in questi ultimi due anni.
In ultimo, bisogna tenere presente, che oltre alle persone riluttanti alla vaccinazione per una forma di paura preventiva, umanamente comprensibile soprattutto se alimentata da una inadeguata preparazione scientifica, esiste una componente più subdola di anti vaccinisti: quella che alimenta artatamente una narrazione perniciosa al fine di rinfocolare le fobie dei primi, estrapolando in maniera chirurgica dati, che risultano fuorvianti rispetto al loro originario contesto, e rappresentandoli in maniera che possano suggestionare le menti più fragili e predisposte ad una narrazione "alternativa".
Quest'ultimi sono inquadrabili in due sottogruppi: quelli consapevoli delle loro azioni, quindi il loro intento è disonesto, perché consapevoli del male che fanno alla comunità continuano a perseguire il loro particolare interesse, finalizzato esclusivamente ad occupare una posizione elettoralmente riconoscibile dal loro piccolo, ma pur rilevante seguito, allo scopo di beneficiare dei privilegi di rappresentanza; quelli che difettano di metodo, che alimentano i loro stessi dubbi per diffidenza verso le fonti ufficiali, che attraverso una modalità di ricerca grossolana mescolano argomenti inconciliabili, che, convinti di essere in possesso di un cervello fino, confondono l'autostima con l'autorevolezza, e dall'alto del loro inscalfibile punto di vista sbeffeggiano la massa, che si affida in maniera acritica alla scienza, non percependo di essere loro stessi dei fruitori acefali di tesi inconsistenti raccolte da fonti non riconosciute. 

giovedì 5 agosto 2021

Giù le mani dalla medaglia

Per essere aggiornati in maniera istantanea sul medagliere italiano alle olimpiadi di Tokyo è sufficiente seguire un qualunque politico, di qualsiasi partito.
È immancabile il post di congratulazioni via social, da parte dei leader dei vari schieramenti, all'atleta di turno dopo il raggiungimento di qualsivoglia medaglia. La partecipazione all'entusiasmo collettivo è vibrante. Quasi quasi sorge l'idea che lo stesso politico, attraverso qualche azione (sconosciuta ai suoi followers), abbia concorso in qualche modo al raggiungimento dell'obiettivo sportivo.
E, qualora non doveste trarre questo pensiero, potreste in maniera lecita desumere che la vittoria individuale dell'atleta (degli atleti per quanto concerne gli sport di squadra) sia il frutto di un percorso organizzato o promosso da politiche attive dello Stato in ambito sportivo.
Ma, vivendo in Italia dalla nascita, anche questa seconda ipotesi tenderei a scartarla.
Volendo entrare nel caso specifico, ci sono diversi aspetti da tenere in considerazione:
Molti sport presenti alle olimpiadi vengono conosciuti dai più esclusivamente attraverso la trasmissione televisiva della competizione ogni quattro anni, quindi un comune adolescente, che magari avrebbe pure qualche tipo di talento per una di queste discipline, avrebbe serie difficoltà a conoscerla, se non addirittura a incontrarla nel corso della propria vita precedente alla trasmissione mondiale dell'evento.
L'obiezione a questo punto, però, è insita nel presupposto, lo Stato, attraverso la tv pubblica, compra i diritti televisivi e trasmette le varie competizioni olimpioniche al fine di diffonderne la conoscenza delle stesse tra la popolazione. Ma questo è sufficiente per appassionare un bambino? Gli eroi dei piccini, tendenzialmente, sono gli atleti vincenti, e se in Italia in quella specifica edizione nessuno si qualifica in finale, ad esempio, per il salto con l'asta, probabilmente l'evento sarà scarsamente seguito, o persino diffuso, dato il conseguente misero share di pubblico.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione è: lo Stato, attraverso strutture e associazioni pubbliche o attraverso finanziamenti a società sportive private, si fa carico degli oneri necessari a favorire l'avvicinamento dei giovanissimi a determinate discipline? Oppure, la collettività si fa carico delle spese sportive che gravano sul nucleo familiare in cui è presente un bambino che sta tentando, in particolare, la disciplina dell'equitazione? In ultimo, la scuola (pubblica o privata) è in grado di favorire l'approccio a queste discipline sportive? 
Perché tutte queste domande? Perché non è un caso, e non è esclusivamente una questione di richiamo economico, che quasi nessun bambino sia attratto dalla scherma, dal badminton, dal salto ad ostacoli equestre o dal tiro a piattello.
Il percorso che inizia dalla passione individuale, passa per il sacrificio del bambino (inteso come allenamento) e della famiglia (inteso come impegno finanziario e di tempo) e finisce con il conseguimento dell'agognata medaglia olimpica, non pare essere frutto di un modello organizzativo, ma piuttosto dello sforzo esclusivamente individuale. Non è tanto il sistema a selezionare i talenti ed avviarli alle discipline adeguate, ma il caso che premia l'intersezione tra passione del singolo, disponibilità economica della famiglia e ricerca di una struttura sportiva di qualità (di prossimità) . 
L'impressione è che vinca un italiano, non l'Italia, quindi cari politici giù il cappello da questa o quella vittoria.
Giuseppe Cerullo