martedì 3 ottobre 2023

Emanciparsi dal proprio male

Dal diario di Francesca Alinovi:

"Evviva evviva. Per la prima volta l'ho visto come un deficiente. Gli ho detto deficiente, ho pensato deficiente per la prima volta. Penso che lui sia un deficiente squallido, l'ho visto già prima lì tra i suoi amici. Il numero da fiera tra poverini e numeri da fiera, baracconate, pagliacciate lui come gli altri, ubriaco, ma che importa? Io l'ho visto come gli altri. Già stasera le sue foto mi hanno fatto incazzare, foto squallide, pazzo pensare che io possa esporre quelle foto. Crollo di un mito, crollo di un amore che sembra impossibile ora aver provato, cieca per due anni, per due anni pazza d'amore. Anche stasera sono stata male, tortura, orribile, di ore, ognuno ha il suo ambiente. Quello è il suo, io il mio, l'ambiente non è indifferente alla persona. Io ho scelto gli ambienti più congeniali, ho fatto sforzi enormi, una fatica enorme per sottrarmi ad ambienti che detestavo, che mi facevano stare male, per sottrarmi a persone che sentivo fisicamente e mentalmente estranee. Ho impiegato anni per sentirmi bene, ho dimenticato gli orrori, conquistato una zona di benessere. Raggiunta una personalità definitiva, mia, aristocratica, ok rompiballe: esigente. Poi ho voluto e pensato di essere tanto forte da vincere gli ambienti, vincere i derelitti, gli squallidi, vincere le resistenze, le repulsioni, gli schifi. Ho pensato di possedere tanto carisma da nobilitare, trasfigurare con la mia presenza tutto. Anche le cose che detesto. Gli rimarrà comunque la palma degli orrori, dei tanti orrori, uno di seguito all'altro. Mi dispiace solo di aver sbottato, avrei dovuto essere più signora, proprio in opposizione al suo squallore, ma è scritto così, di lui mai pensato così di lui, mai visto così nitidamente, chiaro di lui. Data storica, 13 Febbraio 1981. Il 9 Marzo 1983, due anni, un mese, sei giorni stop. Ho finito di amare lui prima ancora di aver finito il libricino, che era stato iniziato per finire di amare lui. Mancano infatti alcune pagine bianche."
In questo flusso di coscienza Francesca Alinovi scrive della forza trovata dentro di sé nell'affrancarsi da una relazione tossica sviscerando, al contempo, il suo background, caratterizzato da un ascesa socio-culturale. Mutatis mutandis ognuno di noi può rispecchiarsi in queste pagine, dove la relazione tossica non deve essere intesa necessariamente come quella amorosa, ma può essere declinata in quella ambientale, relazionale o lavorativa. La capacità di riconoscere i limiti delle nostre azioni nel redimere ciò che ci circonda è il primo passo per poter direzionare meglio i nostri sforzi.

domenica 24 settembre 2023

Il mondo fuori dalle nostre mani

Pensiamo come se fossimo immersi in una realtà immutabile e sotto il nostro completo controllo, pur vivendo in un mondo in continuo cambiamento. L'equilibrio del contesto, dei rapporti e delle persone dipende da così tanti fattori indipendenti dalla nostra volontà che appare fatua, se non addirittura superba, l'idea di poter dirigere gli eventi che ci riguardano. La stagione delle amicizie è caratterizzata dall'eventualità di poter condividere tutto e poi perdersi per sempre; il più diffuso modello d'amore, dopo aver smesso i panni della subitanea passione, si trascina in una sciatta e inconsistente unione tra due individui, che restano insieme solo per paura degli abissi della solitudine e della precarietà; la vita si riduce a una vuota routine finalizzata al nulla, spesso riempita fino all'orlo di attività indispensabilmente superflue. L'antidoto non esiste. L'unico modo per attenuare questo veleno, che lentamente ci consuma, è saper riconoscere ciò che è momentaneamente alla nostra portata, senza mai dimenticare che gli tsunami nella vita sopraggiungono improvvisamente, spazzando via le nostre certezze. Perché vivere? Per l'amore vero, che resta l'unica cosa consistente di questa assurda vita, superando l'effimera materia e raggiungendo le vergini vette della spiritualità.

domenica 26 febbraio 2023

Primarie PD

Confesso: ho votato alle primarie del PD, con l'aggravante che ho dovuto fare la fila al freddo dopo il luculliano pranzo domenicale. 

Svolgimento:
Arrivato nella piazza del mio quartiere, dove avrebbe dovuto attendermi il gazebo della mia zona di competenza, trovo il tipico paesaggio spettrale della domenica post prandiale: deserte le strade e due individui dall'aria poco raccomandabile e dall'aspetto imbruttito dalla miseria, che passeggiano all'ingresso di un desolato e arrugginito parco pubblico.
Del gazebo, nemmeno il miraggio. Deciso a votare per queste primarie mi dirigo verso la mia auto; cerco sul sito del partito un altro seggio in zona, e mi reco con la speranza di trovare miglior fortuna - complimenti per la comunicazione, bravo PD.
Giunto presso il secondo gazebo - fortunatamente questo c'era, quindi volendo essere pignoli il primo gazebo - vengo a conoscenza dalle persone in fila, abbastanza numerose, di altre defezioni nelle zone limitrofe e dell'accorpamento del mio seggio elettorale con quello che avevo appena trovato.
Ad uno sguardo superficiale, le persone in fila, oltre ad avere un’età abbastanza avanzata, appaiono poco interessate al dibattito politico. La presenza dei giovani si riduce a me, che sempre a voler essere pignoli non sono più di primo pelo, ed una ragazza arrivata pochi istanti dopo di me in compagnia del padre.
L’uomo, sulla sessantina, dalla figura dell’immarcescibile uomo di sinistra, sia nei modi che nell’abbigliamento – coppola di lana in patchwork, giacca e pantalone marroni, vestito di un ghigno sardonico e brontolone.
Le lamentele dell’uomo iniziano immediatamente: ”Ma i giovani dove sono? Le primarie sono aperte anche ai sedicenni! 
Contesto che i giovani, per un fatto statistico, praticamente non ci sono in Italia – e poi penso tra me e me: ”Perché un giovane avrebbe dovuto prendersi la briga di venire a votare? Cosa ha da offrire questo partito ai giovani?
Contrariato, l’uomo, osserva che venendo al seggio qualche ragazzo sul motorino l’ha visto – ed io ho visto una rondine, eppure non è primavera.
Prosegue, l’uomo, lamentandosi della lentezza e della poca efficienza del metodo utilizzato, che in effetti sta provocando la fila in cui siamo intasati – penso: è il socialismo bellezza; per l’efficienza, a cui siamo scarsamente abituati in verità qui al sud, c’è il capitalismo, l’avversario (quello che ti vende in serie il tuo abbigliamento dozzinale prodotto con lo sfruttamento dei poveri del mondo).
Faccio notare all’uomo che probabilmente le persone in fila davanti a noi sono lì più per cooptazione di qualche capocorrente, sedicente amico loro, che non per ideologia – probabilmente avranno qualche piacere da chiedere o qualche buona azione ricevuta da scontare. In effetti dopo mezz’ora di fila, ed una attenta osservazione, la cosa che più noto è la povertà diffusa tra quelle persone – non che i poveri non possano avere posizioni politiche, però è notorio che siano quelli a maggior rischio di esposizione ad un determinato tipo di politica (ras locali che si pesano a suon di voti alla prima occasione utile), ed è inoltre surreale la completa assenza di scambio di idee in un luogo che dovrebbe essere il fulcro del dialogo e della partecipazione democratica.
Il democratico di sinistra con riso sardonico mi contesta che lui è lì per ideologia e non per cooptazione, ed io osservo che ne siamo in due, ma che siamo in netta minoranza rispetto al totale della fila. Lui contrattacca dichiarando che siamo in tre: io, lui e la figlia – ecco che adesso abbiamo ribaltato le percentuali rispetto all’intera platea dei votanti.
Durante questo dibattito a bassa intensità, intervallato da molteplici pause, origlio da un dialogo che sta avendo con la figlia la sua premura per un successivo appuntamento, quindi, non avendo fretta alcuna, cedo il posto in fila; lui educatamente ringranzia.
Nell’attesa del voto si avvicina con passo barcollante un anziano uomo dal colore violentemente itterico, una busta del catetere o di un drenaggio nella mano sinistra, tisico e con profondi solchi in un viso di vera sofferenza. Elemosina un caffè con una voce che sa di pianto. Restiamo colpevolmente impietriti da quella situazione tanto inaspettata quanto dolorosa, ma fortunatamente una donna più lesta ed empatica di noi accoglie velocemente la richiesta del postulante.
Altro colpo di scena, sopraggiunge una conoscente dell’uomo, che impegnata in una telefonata e con indosso una mascherina si accoda alla fila e si limita a guardarlo attentamente. L’uomo, pur notando il fatto di essere osservato dalla signora, non riconosce la donna, ma attendendo impaziente il suo turno si volta di tanto in tanto per capire chi sia la nuova arrivata. All’ennesima giravolta dell’uomo la donna interrompe la telefonata momentaneamente, posizionando la mano dinanzi al microfono del cellulare, e lo saluta, facendosi riconoscere e partecipando all’uomo i saluti dell’altra interlocutrice della telefonata.
Scambiati i convenevoli con l’uomo, riconosciuto come medico chirurgo che ha operato l’amica con la quale la donna era in conversazione a telefono, la donna chiude la chiamata ed inizia a lamentarsi con me per l’eccessivo vento ed il freddo. Osservo, banalmente, che ormai non siamo nemmeno più tanto abituati a questo clima.
Passano altri cinque minuti e la figlia del medico entra in cabina per le operazioni di voto mentre l’uomo si reca al tavolo dal segretario del seggio per consegnare i suoi documenti ed attendere dentro il gazebo il turno.
La donna appena sopraggiunta, in un misto di noia, frustrazione e superficialità attacca: “ E’ la quarta volta che vengo per votare. Sto prendendo freddo da questa mattina, ed il fatto grave è che non mi interessa l’esito di questo voto. Questo non è nemmeno il mio partito! Sono qui per fare un piacere ad un amico”.
Ed io: “ Deve essere proprio un amico”.
E lei mi guarda e annuisce, in un misto di rassegnazione e forse un po' di sconforto. 

Per la cronaca ho votato Schlein. Penso che il PD ora abbia bisogno di recuperare consenso. Quindi, per questo obiettivo, è più sensato puntare su una leadership identitaria ed a tratti più demagogica e populista che non affidarsi ad un rassicurante amministratore locale.
G.C.