Per essere aggiornati in maniera istantanea sul medagliere italiano alle olimpiadi di Tokyo è sufficiente seguire un qualunque politico, di qualsiasi partito.
È immancabile il post di congratulazioni via social, da parte dei leader dei vari schieramenti, all'atleta di turno dopo il raggiungimento di qualsivoglia medaglia. La partecipazione all'entusiasmo collettivo è vibrante. Quasi quasi sorge l'idea che lo stesso politico, attraverso qualche azione (sconosciuta ai suoi followers), abbia concorso in qualche modo al raggiungimento dell'obiettivo sportivo.
E, qualora non doveste trarre questo pensiero, potreste in maniera lecita desumere che la vittoria individuale dell'atleta (degli atleti per quanto concerne gli sport di squadra) sia il frutto di un percorso organizzato o promosso da politiche attive dello Stato in ambito sportivo.
Ma, vivendo in Italia dalla nascita, anche questa seconda ipotesi tenderei a scartarla.
Volendo entrare nel caso specifico, ci sono diversi aspetti da tenere in considerazione:
Molti sport presenti alle olimpiadi vengono conosciuti dai più esclusivamente attraverso la trasmissione televisiva della competizione ogni quattro anni, quindi un comune adolescente, che magari avrebbe pure qualche tipo di talento per una di queste discipline, avrebbe serie difficoltà a conoscerla, se non addirittura a incontrarla nel corso della propria vita precedente alla trasmissione mondiale dell'evento.
L'obiezione a questo punto, però, è insita nel presupposto, lo Stato, attraverso la tv pubblica, compra i diritti televisivi e trasmette le varie competizioni olimpioniche al fine di diffonderne la conoscenza delle stesse tra la popolazione. Ma questo è sufficiente per appassionare un bambino? Gli eroi dei piccini, tendenzialmente, sono gli atleti vincenti, e se in Italia in quella specifica edizione nessuno si qualifica in finale, ad esempio, per il salto con l'asta, probabilmente l'evento sarà scarsamente seguito, o persino diffuso, dato il conseguente misero share di pubblico.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione è: lo Stato, attraverso strutture e associazioni pubbliche o attraverso finanziamenti a società sportive private, si fa carico degli oneri necessari a favorire l'avvicinamento dei giovanissimi a determinate discipline? Oppure, la collettività si fa carico delle spese sportive che gravano sul nucleo familiare in cui è presente un bambino che sta tentando, in particolare, la disciplina dell'equitazione? In ultimo, la scuola (pubblica o privata) è in grado di favorire l'approccio a queste discipline sportive?
Perché tutte queste domande? Perché non è un caso, e non è esclusivamente una questione di richiamo economico, che quasi nessun bambino sia attratto dalla scherma, dal badminton, dal salto ad ostacoli equestre o dal tiro a piattello.
Il percorso che inizia dalla passione individuale, passa per il sacrificio del bambino (inteso come allenamento) e della famiglia (inteso come impegno finanziario e di tempo) e finisce con il conseguimento dell'agognata medaglia olimpica, non pare essere frutto di un modello organizzativo, ma piuttosto dello sforzo esclusivamente individuale. Non è tanto il sistema a selezionare i talenti ed avviarli alle discipline adeguate, ma il caso che premia l'intersezione tra passione del singolo, disponibilità economica della famiglia e ricerca di una struttura sportiva di qualità (di prossimità) .
L'impressione è che vinca un italiano, non l'Italia, quindi cari politici giù il cappello da questa o quella vittoria.
Giuseppe Cerullo
Però c'è da dire che lo Stato quando fiuta il Campione lo fa suo arruolandolo nelle varie forze di polizia in età nella quale la stragrande quantità di sacrifici soprattutto economici sono stati sostenuti dalle famiglie. Lì vengono poi seguiti professionalmente per il raggiungimento degli obiettivi
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