All'alba dell'approvazione della prima legge di bilancio del governo Meloni una prima considerazione è d'obbligo.
Ad oggi il tratto caratteristico della finanziaria 2023 è la continuità con quelle dei governi precedenti.
Espunta dalla finanziaria la norma sul POS, modificato al ribasso rispetto agli annunci il tetto del contante, preso atto che l'innalzamento della soglia della flat tax da €65.000 a €85.000 interesserà appena 100.000 persone (esclusivamente partite IVA), risulta fattuale che il governo Meloni abbia preferito seguire le orme di chi la precedeva alla presidenza del consiglio piuttosto che dare seguito alle promesse fatte in tanti anni di opposizione.
Le risorse della manovra economica sono impegnate quasi esclusivamente dalla questione energetica; il debito pubblico italiano altissimo è una zavorra; lo spazio fiscale per il governo è davvero esiguo: queste le tre imprescindibili premesse.
L'unico modo, eventuale, per recuperare risorse ingenti sarebbe stato quello o di fare grossi tagli ai servizi al cittadino, come in parte è stato fatto attraverso una minore spesa in sanità, al netto dell'inflazione, non in termini assoluti, o di alzare il livello di tassazione, come è stato accennato riducendo gli aiuti di stato sul prezzo del carburante, per tenere fede alle promesse di cambiamento.
Eppure era evidente anche prima delle elezioni che, tolte poche e appena accennate modifiche a misure di bandiera (definanziamento del reddito di cittadinanza, rivisitazione di alcuni bonus, accenno di flat tax), nessun partito si sarebbe potuto discostare dal solco del governo precedente una volta preso il controllo della plancia di comando, pena una tempesta finanziaria (vedi la recente disastrosa parentesi politica di Liz Truss nel Regno Unito).
Si resta in attesa del maxiemendamento, che comunque
non potrà portare grosse modifiche, per poter dare una valutazione più approfondita della finanziaria.G. C.